...se sia più nobile d'animo scrivere di pensieri, parole, opere (le omissioni no, lasciamole essere fatti mai accaduti, e dunque non raccontati), spogliarsi d’ogni difesa e lasciar che l'altrui occhio fruisca della nostra nudità, o prendere come assodato e certo il fatto (forse scontato?) che il potenziale interesse mostrato, sarebbe solo derivante da curiosità fine a se stessa, e non già dalla mano autrice della permutazione dei 26 elementi dell'alfabeto che andrebbe a formare lo "scritto".
Perché scomodare Amleto, che si cruccia se vivere o morire (questione dalla prelazione più alta, indubbiamente), per il semplice dubbio riguardo lo scrivere e far leggere, o lo scrivere e basta?
Ma perché esternando il dubbio su uno degli intrecci introspettivi più complicati che la mente possa trovarsi a dover sciogliere, il principe di Danimarca si è fatto carico di essere un emblema (emmò te lo tieni caro mio!): l'emblema di tutti i dubbi, che sebbene diversissimi tra loro per contenuto, sono gemelli di struttura.
Il dilemma è posto nella forma "affermazione-negazione", e se ne valutano i pro e i contro - Chi vorrebbe, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le angherie del tiranno, il disprezzo dell'uomo borioso, le angosce del respinto amore, gli indugi della legge, la tracotanza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto con due dita di pugnale? - e si arriva a capire di quanto pavido possa essere il nostro pensiero - Chi vorrebbe caricarsi di grossi fardelli imprecando e sudando sotto il peso di tutta una vita stracca, se non fosse il timore di qualche cosa, dopo la morte, la terra inesplorata donde mai non tornò alcun viaggiatore, a sgomentare la nostra volontà e a persuaderci di sopportare i nostri mali piuttosto che correre in cerca d'altri che non conosciamo? Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l'incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso:
e dell'azione perdono anche il nome... .
Ma è dunque questo che il nostro danese emblema ci dice? Che tanto la parte affermativa quanto quella negativa del dubbio sono mosse dalla pavidità? - si sceglie di non fare per la paura dello sconosciuto, e si sceglie di fare per la paura del conosciuto.
Io invece leggo coraggio, leggo prendere coscienza di una situazione in atto e di un'altra in potenza, e leggo lo sforzo insito nel raggiungimento di qualcosa, che sarà bene, sarà male, sarà forse una nuova domanda, ma nuova e non la stessa.
E dunque il mio dubbio mi ha portato a scegliere l'affermazione sulla negazione (ma suppongo di condire col pleonasmo questa parte, state leggendo e non poteva essere altrimenti), ma non è stata una scelta dettata dall'egoismo, bensì dalla coerenza con una mia idea: che tutto abbia uno scopo, e allora perché non darne uno a ciò che faccio? Scrivo, mi esprimo e? No il fine a se stesso non mi ha mai convinto; quanto scritto fin'ora non sarebbe mai nato se non fosse per il dubbio (e d’Amleto e mio), che stavolta non poteva proprio risolversi nella negazione, perché non avrebbe caricato di senso d'esistenza questo ragionamento, l'avrebbe fatto diventare un paradosso, e se la storia ha orrore dei paradossi, chi sono io per dirmi temerario a tal punto da non temerli?