martedì 14 dicembre 2010

To blog or not to blog, that is the question

...se sia più nobile d'animo scrivere di pensieri, parole, opere (le omissioni no, lasciamole essere fatti mai accaduti, e dunque non raccontati), spogliarsi d’ogni difesa e lasciar che l'altrui occhio fruisca della nostra nudità, o prendere come assodato e certo il fatto (forse scontato?) che il potenziale interesse mostrato, sarebbe solo derivante da curiosità fine a se stessa, e non già dalla mano autrice della permutazione dei 26 elementi dell'alfabeto che andrebbe a formare lo "scritto".
Perché scomodare Amleto, che si cruccia se vivere o morire (questione dalla prelazione più alta, indubbiamente), per il semplice dubbio riguardo lo scrivere e far leggere, o lo scrivere e basta?
Ma perché esternando il dubbio su uno degli intrecci introspettivi più complicati che la mente possa trovarsi a dover sciogliere, il principe di Danimarca si è fatto carico di essere un emblema (emmò te lo tieni caro mio!): l'emblema di tutti i dubbi, che sebbene diversissimi tra loro per contenuto, sono gemelli di struttura.
Il dilemma è posto nella forma "affermazione-negazione", e se ne valutano i pro e i contro - Chi vorrebbe, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le angherie del tiranno, il disprezzo dell'uomo borioso, le angosce del respinto amore, gli indugi della legge, la tracotanza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto con due dita di pugnale? - e si arriva a capire di quanto pavido possa essere il nostro pensiero - Chi vorrebbe caricarsi di grossi fardelli imprecando e sudando sotto il peso di tutta una vita stracca, se non fosse il timore di qualche cosa, dopo la morte, la terra inesplorata donde mai non tornò alcun viaggiatore, a sgomentare la nostra volontà e a persuaderci di sopportare i nostri mali piuttosto che correre in cerca d'altri che non conosciamo? Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l'incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso:
e dell'azione perdono anche il nome... .
Ma è dunque questo che il nostro danese emblema ci dice? Che tanto la parte affermativa quanto quella negativa del dubbio sono mosse dalla pavidità? - si sceglie di non fare per la paura dello sconosciuto, e si sceglie di fare per la paura del conosciuto.
Io invece leggo coraggio, leggo prendere coscienza di una situazione in atto e di un'altra in potenza, e leggo lo sforzo insito nel raggiungimento di qualcosa, che sarà bene, sarà male, sarà forse una nuova domanda, ma nuova e non la stessa.
E dunque il mio dubbio mi ha portato a scegliere l'affermazione sulla negazione (ma suppongo di condire col pleonasmo questa parte, state leggendo e non poteva essere altrimenti), ma non è stata una scelta dettata dall'egoismo, bensì dalla coerenza con una mia idea: che tutto abbia uno scopo, e allora perché non darne uno a ciò che faccio? Scrivo, mi esprimo e? No il fine a se stesso non mi ha mai convinto; quanto scritto fin'ora non sarebbe mai nato se non fosse per il dubbio (e d’Amleto e mio), che stavolta non poteva proprio risolversi nella negazione, perché non avrebbe caricato di senso d'esistenza questo ragionamento, l'avrebbe fatto diventare un paradosso, e se la storia ha orrore dei paradossi, chi sono io per dirmi temerario a tal punto da non temerli?

2 commenti:

  1. Mi piace Proprio Maurè!!! :D Sei sempre stato grande nello scrivere, porta avanti questa tua passione straordinaria! Buon inizio! :)

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